Docente

“Sano apprendistato di bottega…”, ripetevano i sergentoni di redazione a fine anni Settanta. Cioè, imparate da noi lavorando 18 ore al giorno. Qualcuno non correggeva neppure. Quando il pezzo era sbagliato, lo cestinava e, senza alzare gli occhi, grugniva: “Rifare!”

Ma il mondo correva rapido in groppa alla tecnologia, dalla stampa a freddo, ai computer, ai satelliti. E l’informazione si moltiplicava, si frammentava in mezzi diversi, in un confronto sempre più vasto e veloce. Gli apprendisti di bottega negli anni Ottanta cominciarono a naufragare in un sistema di complessità crescente che richiedeva flessibilità di conoscenze e ruoli.

Sull’esempio di ciò che all’estero era normalità da sempre, nacquero le prime scuole, guardate con diffidenza o addirittura derise. Ma quelli che uscivano di lì avevano le spalle più forti anche per resistere alle indebite pressioni dei politici, delle lobby e dei potentati economici, abituati a spadroneggiare e a imporre i loro accoliti e figliocci. A lottizzare selvaggiamente per asservire l’informazione.

Dal 1987 ho partecipato a questa fantastica avventura di democrazia, di conoscenza che combatte l’arbitrio. Con alterne vicende. Cercando di individuare e contrastare l’inquinamento di chi ha adoperato anche l’insegnamento proprio per perpetrare un sistema di potere basato su un giornalismo arruffone e approssimativo che esclude chi le informazioni vuole darle davvero. E, sopattutto, le forze più sane e giovani di questo Paese.