A cambiare il clima verso le telecamere, arriva un fenomeno spontaneo e imprevisto. L’America vuole vedere. Altro che tv, di persona. Solo due settimane dopo gli attentati, è un pellegrinaggio incontenibile al World Trade Center. Appena il cordone dei posti di blocco si allenta un minimo, perché il presidente Bush ha dato l’ordine di tornare alla vita. Arrivano da tutti gli Stati Uniti e dall’estero, con le facce di tutte le razze, il melting pot americano in lacrime o con gli occhi sgranati e la mano sulle labbra in segno di incredulità, davanti a ruspe e gru che lavorano tra i cumuli di detriti.
“Volevo vedere di persona, come possono aver fatto questo alla nostra Nazione”, piange una pianista di Los Angeles. “Mai state a New York prima d’ora –spiegano quattro studentesse del Texas- abbiamo deciso di venire per un giorno a vedere quanto e’ diverso rispetto alla tv…E’ decisamente più realistico. E dà una sensazione differente”. Un segno dei tempi, il piccolo schermo e perfino le immagini delle web-cam che non bastano più, in questa nuova ricerca di un rapporto personale con la realtà.
Ma l’America vuole anche ricordare quello che ha visto con i propri occhi. Istantanee e video da Ground Zero, macchine fotografiche, flash continui e telecamerine tra le mani della folla che ogni giorno si ingrossa dietro le transenne presidiate da poliziotti e ranger imbiancati alla polvere e che tossiscono per il fumo acre che continua a sollevarsi. Una specie di turismo sulle macerie inaccettabile per il sindaco Rudolph Giuliani. “Fanno foto per piacere, divertimento o profitto”, sbotta e, in linea con la sua dottrina della “tolleranza zero”, ordina di vietare qualsiasi immagine del cratere. Un provvedimento da Ayatollah Komeini che però sul momento sembra quasi naturale, ispirato alla pietà per i defunti, al rispetto per la tragedia, una difesa dalla morbosità della civiltà dell’informazione.
“Non potete riprendere, il sindaco non vuole”, blocca anche noi un poliziotto. E non serve neppure l’aiuto generoso di Baudo, un giornalista romano che ha una casa di produzione televisiva proprio a ridosso del World Trade Center e che mostra il famoso passi di polizia, quello rosso dei residenti, dicendo che lavoriamo per lui. “Italiani?”, chiedono due militari della guardia nazionale. “Se vi fate vedere mentre filmate, siamo costretti a cacciarvi”, spiegano con complicità e tolleranza inaspettate.
Il fatto è che neppure i divieti bastano questa volta. Perché anche gli inflessibili tutori dell’ordine percepiscono che non è voyeurismo quello della gente. Ground Zero è già un monumento alla tragedia americana, di cui ogni cittadino è padrone in modo uguale. E’ il simbolo e il veicolo, al tempo stesso, di quella solidarietà, di quell’unità di fronte al pericolo su cui tutti, Giuliani stesso, puntano per resistere al terrorismo e per ricostruire, andare avanti forti come prima. E’ la materializzazione dello slogan “United we stand”, uniti restiamo in piedi, che si legge su magliette, distintivi, cappellini, cartelli e messaggi appiccicati ovunque.
“United we stand”, che si identifica con quell’unico muro di lamiera rimasto in piedi sulle macerie, la facciata superstite della Torre Sud, davanti al quale i turisti di Ground Zero restano in contemplazione sconcertata. Uno dei pochi pezzi ancora identificabili, monumento spontaneo, che ora è necessario abbattere “per rendere più sicuro il lavoro dei soccorritori”, annuncia il sindaco Rudolph Giuliani. Provocando anche in questo caso un coro di resistenze che attraversa tutta la Nazione, nonostante la promessa di rovinare il meno possibile quella grande griglia, effigie di ciò che era il World Trade Center, e l’annuncio del progetto di volerla trasformare al più presto in un sacrario.
E un mese dopo, mentre il cappellano della polizia, David Cassato, avvolto in un polverone bianco, benedice come in una sepoltura di massa le macerie che inghiottirono tutti, è diventata una processione autorizzata quella della gente che arriva per misurare da vicino la grandezza della tragedia, a respirare l’aria di morte e l’odore di materie plastiche dell’incendio che lì sotto brucia ancora.
“Dal fuoco è emerso una spirito più unito –dichiara Giuliani dopo il minuto di silenzio all’ora del primo attacco- una città, un mondo più unito dall’obiettivo di far in modo che non accada mai più”. Anche il sindaco si è piegato all’evidenza. Sulle macerie sarà costruita una pedana, una enorme passerella che consenta di arrivare il più vicino possibile al cratere, alla tomba dell’inattaccabilità americana.