Le Storie dietro le canzoni…

Prologo “Last Call – note di un inviato”

L'ultimo concertoIl concerto era andato bene, più del solito. In riva al mare a Marina del Cantone, dietro la Punta della Campanella, dove si arrivava scendendo da Sant’Agata sui due Golfi, curva dopo curva. Una serata tiepida d’estate con centinaia di persone radunate sullo spiazzo del parcheggio ad ascoltarci. E si era creata un’atmosfera di forte energia di cui s’erano accorti tutti. Una sorta di magia, diceva qualcuno. Come se uno spirito sconosciuto avesse reso cristallini e soffici suoni e parole, messo in sintonia gli animi. Come se quelle nostre canzoni che nessuno aveva sentito fin allora, sgorgassero momento per momento dal cuore e dall’inconscio di ognuno, ne avvolgessero i corpi, legandoli l’un l’altro.

Era una presenza di cui eravamo certi. L’avevamo avvertita tante volte lì. Placida o minacciosa, come il mare di quella cala. Lo sapevano i ragazzi, senza bisogno che nessuno glielo dicesse, senza che la considerassero una superstizione dei più anziani. Una entità che si percepiva e basta. Ma, quella sera, lo spirito di Marina del Cantone aveva superato sé stesso, trasformando noi sul palco in suoi strumenti inconsapevoli, messaggeri del suo benefico respiro di umanità.

Sandro racconta…

Risalendo le curve nella notte, Tony il percussionista ed io avevamo ancora addosso un brivido. Sapevamo che avremmo dormito come sempre in auto, su uno spiazzo qualsiasi, magari affacciato sul mare. Come ogni volta che andavamo sulla strada, parlando ore e ore di tutto. Vita, futuro, giustizia sociale, mondo da cambiare e come sopravvivere noi di musica. Fino alla saturazione, quando ci imponevamo una tregua.

Fu proprio in una di quelle lunghe pause di silenzio nel dopo Marina del Cantone, mentre ancora non dormivamo sui sedili reclinati, ma guardavamo dal cruscotto il cielo così assurdamente immenso e vivido tra Sorrento e Sant’Agata, che sentii dentro una frase, formarsi distintamente. “Voglio guardare il mondo…”
“Assurdo, assurdo!”, continuava a ripetere Tony. “Ma come, ora che tutto va bene, con un’estate di concerti davanti, che ci stiamo facendo un nome. E tu vuoi lasciare tutto?”. Non riuscivo a dargli torto. Ma la mia mente era ormai lontana. Fuggita in avanti. Con la stessa ineluttabilità di un verso di Guantanamera: “Con los pobres de la tierra quieto yo mi su erte echar…” Così ho sentito la spinta a raccontare ogni giorno la vita della gente. A diventare un semplice reporter che va sulla strada per raccogliere le storie che devono essere portate a conoscenza di tutti.

“Assurdo, assurdo!”, ripeteva Tony. Ma a me cantava dentro quella frase, “Voglio guardare il mondo”. E così lasciai la vita da cantautore per quella di giornalista. O forse trasformai una cosa nell’altra. Come dice il poeta. “Yo vengo de todas partes, y hacia todas partes voy”.

Quando nacque il “Torno a casa blues”

Di quei giorni persi nel traffico di Teheran, ore e ore incastrati in auto tra un’intervista per le elezioni parlamentari e il tuffarsi nella casa della producer, così simile a un loft newyorkese, mi era rimasto un bigliettino in tasca, scritto quasi per caso, inseguendo una frase che mi risuonava nelle orecchie quando a notte si placava il frastuono e in quella magnifica stanza sul retro dell’hotel mi tuffavo nel recupero della mia anima.

Poche parole dettate da una condizione fisica e da un altra più politica. Da un lato, il sollievo provato nell’uscire dalla morsa della capitale, passeggiando per i sentieri delle alture a ridosso di Teheran, come i milioni di abitanti amano fare appena possono, E, dall’altro lato, dalla opportunità di poter guardare la vita e gli equilibri internazionali, una volta tanto, non dal punto di vista degli enterni vincitori, dei dispensatori di libertà e democrazia, degli americani di cui anche gli oppositori iraniani dicevano: vogliamo la nostra identità, non diventare yankee anche noi.

“Voglio guardare il mondo dai monti di Teheran Nord…”, c’era scritto sul fogliettino dell’albergo, di quelli che si possono trovare con matita vicino al telefono.

Poi ci furono gli attentati di Madrid, alla stazione di Atocha, e quello contro i militari italiani a Nassiriya…

Ogni volta, il punto da cui guardare il mondo tornava povocatoriamente Teheran dentro di me…

Il testo cresceva, si allungava a mano a mano che pensavo ai viaggi, ai reportage, alle sofferenze e alla voglia di vivere gli uomini della terra come un’unica comunità…

Sandro e Tony in piazza Giovenale
Sandro e Tony sorpresi in una notte di metà agosto in piazza Giovenle a Roma mentre provano “Torno a casa blues”, estate 2007

Le canzoni del passato, raccolte nel volumetto “Blues in blues”, avevano vinto un premio importante, dal nulla. E Tony continuava a telefonarmi, a chiedere di tornare a far canzoni con lui. Le emzioni aumentavano, si accumulavano, difficili da tenere a basa, da frenare con la freddezza di cui ero stato capace per vent’anni.

“Voglio guardare il mondo dai monti di Teheran Nord, voglio piangere sangue sui binari di Atocha, voglio sputare povere sulle vie di Nassiriya, prima che suoni l’ora di un Torno a casa blues…”

E così, una sera di metà agosto, Tony arrivò sotto casa mia a Roma e mi chiese di portare la chitarra. Andammo in un giardinetto pubblico a piazza Giovenale e gli cantai “Torno a casa blues”. Lui suonò come se avessimo provato la sera precedente e non 25 anni prima…