George W. Bush

Invisibile? No, grazie! Col “bang bang” è meglio

30″Non ci saranno spiagge da attaccare, né isole da conquistare…” Bush prova subito ad annunciare al Paese una guerra silenziosa ma implacabile, che durerà anni, combattuta dietro le quinte da 007 e da corpi speciali, colpendo i terroristi ovunque si trovino, strangolando economicamente le nazioni che li nascondono o difendono, oppure con attacchi improvvisi di commando. Una guerra flessibile a base di miscele misurate di pressioni politiche, economiche e militari. Anche per non suscitare reazioni di solidarietà tra paesi islamici, come rischierebbe di fare un attacco su larga scala. Il presidente insiste per giorni. All’America, bisognosa di riscatto immediato, di mostrare al mondo la propria furia per lo schiaffo subito, si tratta di far digerire la nuova dottrina richiesta dalla situazione. Contro il nemico invisibile, una guerra invisibile. Similia similibus curantur, cose simili si curano con cose simili.

“Non vi aspettate di vedere nulla in tv”, sottolinea Bush. Dalla Guerra del Golfo in poi, infatti, quello che il mondo si attende è proprio l’opposto di ciò che sta proponendo il presidente, un conflitto in diretta, secondo tempi e modi che sono ormai diventati quasi un “genere” televisivo: si lancia un ultimatum che appare subito destinato ad essere rifiutato e, mentre si costruisce in tutta fretta una ciclopica macchina militare, si susseguono interventi diplomatici disperati e tentativi di mediazione dell’Onu, poi si mette in moto il martellamento aereo, per circa 35 giorni si va avanti a bombe e missili, obiettivi centrati a ripetizione e tragici errori di bersaglio, gli uni e gli altri ostentati da una parte e negati dall’altra, fino ad un attacco di terra che si cerca di far condurre agli oppositori locali del tiranno di turno per non rischiare un bagno di sangue alleato, inaccettabile per l’opinione pubblica americana dopo il Vietnam.
Dalla campagna irachena, il Pentagono ha messo in campo la dottrina dei bombardamenti chirurgici e delle bombe intelligenti, mostrati con spettacolari video dei bersagli ripresi dagli aerei mentre sono colpiti, il lato televisivo delle operazioni, in un mito progressivo della guerra pulita e infallibile che non ammette sbagli ma, piuttosto, inspiegabili “danni collaterali”, le cui immagini tocca però agli avversari mostrare in video spesso precari e di discussa credibilità.

E’ una visione quasi da vigili del fuoco, da professionisti del pronto intervento, che anima le nuove forze armate americane: abbiamo un compito da svolgere, siamo preparati per questo, sbrighiamoci che poi si torna a casa. E chi non torna è una percentuale prevista, accettabile, in linea con i morti per incidente sul lavoro nella grande industria e nei cantieri o tra agenti di polizia e pompieri. La guerra si deve trasformare sempre più in qualcosa di cui si vedono solo gli utili risultati, mentre il resto è un fastidioso passaggio tecnico che si cerca di rendere a mano a mano più “pulito”, in cui perfino i grandi bombardieri diventano “invisibili”. Un conflitto vinto in partenza, lontano e sempre presente, per mantenere la coesione nazionale e l’ordine mondiale, la lotta tra il bene e il male, come in “1984” di George Orwell, da seguire sulla poltrona di casa, davanti alla tv.

“L’attacco è già cominciato”, annuncia a ripetizione Bush. Ma non è ancora quello portato dalla macchina da guerra visibile che continua a schierarsi attorno all’Afghanistan come in un rito consueto, senza che si comprenda se sarà mai adoperata o no. “Come sceriffi o poliziotti, unità delle forze speciali sono entrate in azione fin da due giorni dopo gli attentati, sono all’inseguimento dei terroristi”, conferma il presidente negli ultimi giorni di settembre e parla di “un inseguimento stretto”. In primo luogo di Osama Bin Laden. “Qualche volta sarà possibile vedere le operazioni in tv, qualche altra no. Ma non fate confusione: la campagna contro i terroristi è già in corso”, ripete Bush tentando ancora una volta di far digerire il nuovo tipo di guerra.

L’opinione pubblica, però, resta fredda e insoddisfatta. Ora che per la prima volta è stato colpito il suolo americano, una risposta addirittura invisibile sembra poca cosa per ricucire la ferita di 3000 morti, restituire il senso di sicurezza al paese, ristabilire l’equilibrio internazionale. E sicuramente non serve a controbilanciare, a sostituire sugli schermi di tutto il mondo, lo spettacolo che si replica senza sosta delle Torri gemelle centrate dagli aerei e crollate.

Per sentirsi ancora i custodi della democrazia planetaria, per recuperare quella fiducia nell’inviolabilità del territorio (tanto essenziale per gli aericani da costituire parte dell’identità nazione e motivare perfino la realizzazione di un forse inutile Scudo Stellare), non bastano i bounty-killer in giro per il mondo a far piazza pulita dei banditi. Lo sceriffo-Bush deve entrare in azione con tutti i suoi uomini, combattere il genio del male e la sua banda in campo aperto, “bring them to the Justice”, assicurarli alla giustizia, come ripete ossessivamente il presidente. Insomma, ci vuole il classico “bang bang”, come gli americani definiscono l’azione drammatica che consente ad un fatto di trasformarsi in notizia. I botti si devono sentire e vedere in tv. Alla strategia del Golfo non si può rinunciare ancora. Saddam non si ritirò dal Kuwait. Il Mullah Omar non consegna Bin Laden. Scade l’ultimatum e il sette ottobre cadono bombe e missili.


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